Franchising internazionale

16 Mag 2018

Non tutto il mondo è Paese

Il franchising internazionale è una delle più importanti modalità con cui le imprese affrontano l’entrata nei mercati esteri. La vitalità del settore, in crescita costante, è nelle cifre: +8,7% di franchisor italiani all’estero nel periodo 2012-2017 per l’Osservatorio Federfranchising Confesercenti, con 200 insegne nazionali affermate nei mercati oltreconfine, e una crescita del 20% sul 2017 per Confimprese Estero 2018.

L’internazionalizzazione è una scelta che attrae, ancor più oggi in un contesto di globalità. Però è anche una strategia complessa, dall’esito per nulla scontato.

Specificità e differenze, le variabili che contano

Il fatto è che i Paesi e le culture sono differenti, e la corretta valutazione di questo fattore è fondamentale per il successo (o il fallimento) del progetto. Per operare in un Paese estero occorre prepararsi per quel mercato tenendo conto, in relazione al proprio settore merceologico, di specificità e differenze.

Le variabili da considerare sono molte, non solo fisiche e naturali ma anche culturali: dalle condizioni climatiche ai tratti antropologici della popolazione, agli aspetti normativi e organizzativi, ai diversi stili di vita e comportamento delle persone, siano queste gli operatori o i consumatori con cui si avrà a che fare.

L’analisi di questi elementi influirà sulle decisioni strategiche e operative riguardo alla scelta del Paese in cui operare, alle formule del contratto e alla negoziazione, all’adattamento del format commerciale o del prodotto in funzione del mercato di riferimento.

Convinzioni ingannevoli

Spesso si sceglie un Paese per vicinanza geografica, dando per scontato che prossimità territoriale significhi anche affinità culturale. Ma non è così, non sempre e non con valenza generale per tutti i settori. A una certa somiglianza in fatto di cibo, per dire, non corrisponde automaticamente una similarità di gusti nell’arredo della casa o una medesima concezione di “borsa comoda”.

Rispetto all’Italia, il Nord Europa o una nazione come la Germania potrebbero risultare molto più distanti, culturalmente, di una terra latina d’oltreoceano come l’Argentina. In fatto di colori, poiché la sensibilità cromatica è diversa nelle regioni solari e nelle regioni nordiche, oppure in materia di regole e prassi operative, che incidono sul modello di franchising e sugli aspetti contrattuali.

Variabili hard: le entry fees

Principi e pratiche diverse sussistono per esempio riguardo ai diritti d’ingresso (entry fees) richiesti dal franchisor per entrare a far parte della rete di affiliazione commerciale. L’affiliante li paga all’inizio come corrispettivo una tantum all’avviamento, separato dalle royalties (fisse o in percentuale) dovute periodicamente per la licenza d’uso del marchio, il know-how, l’assistenza ecc.

Nel contesto italiano risulta molto difficile applicare questo principio e far accettare l’idea di pagare up front, mentre in altre nazioni d’Europa è una prassi consolidata. In Germania, il franchising che non preveda una entry fee non viene spesso nemmeno preso sul serio. Poiché il diritto di entrata si rapporta al valore economico della rete e alla sua capacità di sviluppo, per il franchisee è un indicatore di qualità della proposta di franchising.

Ma non tutti, appunto, ragionano così. Questo diverso atteggiamento ha a che fare anche con la consuetudine o, viceversa, la scarsa propensione culturale alla compliance ossia all’agire in modo reciprocamente collaborativo e trasparente. Un criterio radicato nella pratica anglosassone o del Nord Europa, dove la compliance fiscale e legale è solida realtà culturale, ma che appartiene meno all’esperienza italiana, dove prevale una logica difensiva per mancanza di fiducia e il rapporto tra fisco e contribuente è conflittuale.

Nel congegnare il modello e il contratto di franchising occorre aver ben presenti queste differenze di vedute, che hanno un forte impatto in sede negoziale.

Adattarsi, ovvero The global likes local

Se vogliamo pensare globalmente, dobbiamo saper agire localmente.
Anche McDonald’s, re del fast-food che ha fondato il suo sviluppo planetario proprio sulla standardizzazione dell’offerta, oggi non trascura la declinazione locale. Mentre all’inizio proponeva ovunque gli stessi hamburger, oggi calibra menu e ingredienti secondo i Paesi per assecondare tipicità, differenze di gusti e orientamenti alimentari: in Italia prepara i panini con scaglie di grana e usa un diverso caffè, in Olanda cucina il McKroket e il burger vegetariano, nel Regno Unito il Bacon Roll e così via.

Nel settore moda, abbigliamento e accessori, non si può prescindere dal fitting. La vestibilità non è la stessa in tutte le parti del mondo e va adattata alle diverse conformazioni fisiche. Abiti, scarpe, occhiali non saranno fatti nella stessa maniera. Per fare qualche esempio: i piedi cinesi differiscono da quelli europei e le calzate sono diverse, i nasi nel Nord Europa sono più stretti mentre in Africa più larghi.

Vi sono poi gli aspetti climatici e la stagionalità, che influiscono fortemente sul calendario organizzativo e delle vendite. In Italia si vende un giubbotto a ottobre-novembre, in Germania si anticipa a settembre. In Italia lo stivale è una calzatura invernale che non si vende in primavera, mentre in Paesi dal clima rigido l’acquisto può essere pressoché continuo nell’arco dell’anno. Studiare il ciclo stagionale di un mercato estero è fondamentale per essere pronti al momento giusto, così da cogliere le migliori opportunità di vendita e mantenere competitività.

Il franchising è per definizione una formula replicabile, ma a livello internazionale richiede sempre la capacità di adattarsi alle specificità dei singoli mercati.

A meno che un’azienda non sia talmente forte e attrattiva – economicamente e per know-how – e con un prodotto/servizio così globalizzato da poter investire moltissimo in ogni Paese esportando un sistema che tutti rincorrono.