Export e internazionalizzazione

21 Giu 2018

Le vie dell’impresa oltreconfine

Per espandersi oltre i confini nazionali, un’azienda ha a disposizione due vie: esportare i propri prodotti oppure, pensando più in grande, attuare un piano di internazionalizzazione. Sono scelte diverse, che a volte possono anche realizzarsi come due fasi dello sviluppo internazionale, ma che in ogni caso presuppongono sempre un certo livello organizzativo e una buona solidità acquisita nel mercato domestico.

L’esportazione consiste nel vendere all’estero, in parte o in tutto, ciò che si produce. Implica l’individuazione degli sbocchi migliori, dove c’è maggiore domanda per il prodotto, e la ricerca di clienti ed eventuali partner interessati, agenti e distributori locali che possano offrire validi servizi di supporto e intermediazione.

Internazionalizzare ossia sviluppare l’impresa a livello internazionale significa entrare in uno o più mercati esteri per affermare e diffondere il proprio marchio. Si tratta di un progetto impegnativo, attuabile a determinate condizioni: risorse consistenti, elevata industrializzazione, dimensioni adeguate. Soprattutto, è un progetto per il quale occorre prepararsi a fondo e che va ben definito e pianificato.
È necessario anzitutto analizzare i mercati e individuare quelli migliori, valutando indicatori economico-finanziari, normative, aspetti logistici, concorrenza e altre numerose variabili quali per esempio le differenze culturali più rilevanti (ne abbiamo parlato a proposito di franchising internazionale).

È importante studiare le dinamiche dei vari canali distributivi, che in contesti differenti possono trovarsi in diversi stadi del loro ciclo di vita. Pensiamo per esempio ai centri commerciali, che in Italia sono ancora in fase espansiva e si aprono in tutto il territorio.
Negli Stati Uniti si assiste invece al declino dei mall, con la chiusura dei negozi dopo l’ultima crisi recessiva e a fronte dell’imponente avanzata del commercio digitale. Secondo alcune stime, solo tra il 2010 e il 2013 questi spazi commerciali hanno registrato un drastico calo di visite: -50%. Si prevede che i 1.200 mall ancora attivi negli USA nel 2017 si ridurranno a circa 900 entro un decennio (TheAtlantic, sulla “Apocalisse” del retail negli USA nel 2017).

Occorre considerare tutti questi fattori per elaborare una strategia d’ingresso, vagliare le opportune scelte di marketing e delineare un’efficace strategia di brand.
Infine, strutturarsi fisicamente in un Paese estero vuol dire predisporre l’organizzazione operativa e allacciare rapporti con partner e intermediari locali selezionando i più adatti e affidabili.

E-commerce, il “passaporto” per l’estero

Il canale online e l’e-commerce oggi aprono alle imprese l’arena globale moltiplicando le opportunità di relazione e di scambio. Questo però non vuol dire che le cose siano più facili, anzi: l’utilizzo crescente del web innalza la competizione e aumenta la complessità delle attività commerciali.
Il commercio elettronico è oggi un lasciapassare per l’estero, ma prevede anche strutture organizzative a livello locale. La spinta inevitabile verso una presenza multicanale, fisica e digitale, di fatto fa scivolare anche l’esportazione verso il crinale della vera e propria internazionalizzazione. La multicanalità è la dimensione naturale dell’unified commerce, l’evoluzione che sta trasformando l’attività di vendita integrando reale e virtuale anche nei punti fisici.
Espandersi entrando nel canale online oggi richiede un grosso impegno nel seguire con attenzione, a livello globale, i mercati e le tendenze, i fattori di cambiamento e la relativa incidenza in diversi Paesi o aree del mondo.

L’uso crescente dei dispositivi mobili, per fare solo un esempio, è una tendenza importante per l’ambito retail perché modifica l’esperienza di acquisto (modalità, abitudini, aspettative). Ovunque si registra un aumento del tempo trascorso su mobile e dedicato a queste attività, ma mentre in India o in Cina la quota di minuti da mobile è oltre l’80% del tempo totale dedicato al retail, in Spagna è il 63%, negli USA il 58%, in Italia il 52% e in Germania il 36%. E cosa si cerca e si acquista da smartphone? E quanto si acquista? Peraltro, le transazioni m-commerce non decollano: i dati dicono che nei tre principali mercati – USA, Canada e Regno Unito – meno di 4 utenti mobile su 10 effettuano acquisti mensilmente (Global Mobile Report comScore).
Dunque la propensione al mobile commerce non è la stessa ovunque, e occorre comprendere culture e scenari diversi.

La globalizzazione inarrestabile, l’accresciuto peso dei fattori immateriali, la moltiplicazione dei touch point per intercettare la domanda e la competizione internazionale in aumento rendono sempre più necessaria una strategia di internazionalizzazione rispetto alla semplice esportazione. In altre parole, sarà sempre più difficile esportare i propri prodotti senza una visione strategica per lo sviluppo internazionale.